«Non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti», scriveva nel 1977 il semiologo Roland Barthes per sottolineare l’importanza della narrazione come strumento per capire e interpretare la realtà, oltre che per condividerne il senso.
Non possiamo sorprenderci allora se oggi, quando le nostre vite sono legate a doppio filo all’uso e alla presenza di apparati tecnologici di ogni tipo, proprio queste tecnologie diventano le protagoniste di tanti racconti.
Qui parliamo di un tipo specifico di racconti, le cosiddette leggende urbane, storie che hanno per protagonista un amico di un amico le cui avventure o disavventure sono semplicemente… troppo belle per essere vere.
E infatti, se si va a scavare un po’, si scopre che le vicende narrate si rivelano regolarmente false, o del tutto indimostrabili.
Esistono tre tipi di leggende in questo ambito: le storie che parlano di una qualche tecnologia, quelle che si diffondono sfruttando le tecnologie ma che esistevano anche nel passato, e infine le storie che sono proprio nate in un ambiente tecnologico, ovvero grazie alle tante possibilità di comunicazione rese possibili dall’informatica, come questo blog.
Oggi ci occuperemo del primo tipo di storie, alle altre sarà invece dedicato un nuovo post.
Si può dire che tutte le tecnologie di uso quotidiano sono protagoniste di una qualche leggenda. Dai forni a microonde – per esempio con la storia della vecchina a cui viene regalato un forno nel quale inserisce il gattino a cui ha appena fatto il bagnetto per asciugarlo un po’, come era abituata a fare col suo vecchio caro forno elettrico, causandogli invece una tragica e prematura morte (ne parlano per esempio qui in relazione a un fatto di cronaca citando la leggenda come se fosse vera) -, fino alle biotecnologie, con il racconto della ragazza che si sente male dopo aver mangiato una succosa coppa di fragole e poi scopre, lei che sa di essere allergica al solo consumo di pesce, che erano state modificate geneticamente inserendo un gene di un pesce artico per renderle resistenti al freddo.
Dai cellulari che esplodono se li si usa mentre sono in carica, o che si infettano se si risponde a una telefonata che proviene da un numero misterioso, fino alle automobili, per esempio con il racconto della coppia di canadesi che acquista un auto negli Stati Uniti accorgendosi durante il viaggio di ritorno che l’auto non consuma praticamente benzina. Ma la pacchia dura poco, perché due uomini mandati dall’azienda produttrice si presentano a casa loro per riprendersi quel prototipo che non sarebbe mai dovuto andare in commercio e che in effetti nessuno ha mai più visto.
E ancora, si possono citare come categoria rilevante le leggende su tecnologie mediche, tra cui meritano un posto di rilievo le storie diffuse in tutto il mondo sui furti di organi realizzati in mille posti diversi – dai bagni dei centri commerciali agli scantinati dei negozi cinesi – oppure le mille storie sulla chimica, come quella del signore che telefona alla ditta produttrice dello shampoo che consuma abitualmente lamentando il fatto che nel loro prodotto si trovi il pericolosissimo Sodium Laureth Sulfate che fa venire il cancro (solo nella leggenda, tranquilli) e che si sente rispondere da una tranquilla impiegata. “Lo sappiamo, ma non possiamo farci niente perché abbiamo bisogno di quella sostanza per produrre la schiuma”.
Per concludere questa micro carrellata vorrei citare la mia storia preferita in quest’ambito, quella che quasi ogni genitore racconta ai propri figli quando li porta in piscina la prima volta e che riguarda una (presunta) tecnologia chimica. È la storia di un bambino che dopo aver fatto la pipi nell’acqua, si è accorto con terrore che tutto intorno a lui si colorava di rosso, perché i gestori delle piscine usano una speciale sostanza chimica che rivela a tutti chi osa inquinare le loro acque.
Proprio questa storia ci aiuta a capire che, per quanto molte delle storie sulla tecnologia servano ad esprimere paure e emozioni negative, in altri casi la funzione di questi racconti può essere anche diversa, per esempio quella di indicare un comportamento adeguato in un certo contesto. Più in generale, queste storie, ci aiutano a padroneggiare qualcosa che ci è molto vicino, ma che allo stesso tempo resta distante, nel senso di poco comprensibile nel suo funzionamento. Ecco perché queste storie vale la pena ascoltarle, per quanto siano false, perché ci parlano di noi e del modo in cui ci relazioniamo con le tecnologie del nostro quotidiano.
Piccola bio:
Ricercatore di psicologia sociale al Dipartimento di psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Vicepresidente nazionale del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, www.cicap.org), dal 2005 dirigo Query, la rivista del Comitato (www.queryonline.it). Per oltre 10 anni ho curato una rubrica sulla rivista Focus dedicata al mondo delle leggende urbane e delle bufale online.
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